Intervista al Commissario Guido Castelli: bilancio e prospettive del “Cammino di Rinascita” dell’Appennino centrale


L’intervista al Commissario straordinario sisma 2016 Guido Castelli: il bilancio della ricostruzione, i “Cammini di Rinascita” e le strategie contro lo spopolamento dell’Appennino centrale

Dopo oltre due anni alla guida della ricostruzione post sisma 2016, il Commissario Straordinario Guido Castelli traccia un bilancio approfondito di un’esperienza che ha visto l’Appennino centrale trasformarsi nel più grande cantiere edile d’Europa. Ma la ricostruzione non è solo edilizia: con il programma NextAppennino e i progetti legati ai “Cammini di Rinascita”, l’obiettivo è anche rigenerare il tessuto sociale, economico e culturale dei territori colpiti, contrastando lo spopolamento e valorizzando risorse locali come agricoltura, artigianato e turismo lento. In questa intervista, Castelli racconta i risultati raggiunti, le sfide ancora aperte e la visione per un futuro sostenibile delle aree interne.

A distanza di due anni alla guida della ricostruzione post sisma 2016, qual è il bilancio che si sente di tracciare in termini di risultati concreti e criticità ancora da superare?

C’è una grande criticità che dobbiamo combattere tutti i giorni: il rischio dello spopolamento. In questi ultimi due anni la ricostruzione ha sicuramente segnato un cambio di passo che i numeri documentano: per la ricostruzione privata sono stati chiusi oltre 12mila cantieri. Altri 8mila sono in corso. Ciò corrisponde a un importo concesso di quasi 10,2 miliardi di cui 5,6 miliardi liquidati alle imprese. Di questi 5,6 miliardi oltre il 57% sono stati liquidati negli ultimi due anni.  Un chiaro segnale che la ricostruzione si è finalmente sbloccata. Anche la ricostruzione pubblica si è sbloccata. Il 98% delle opere programmate (oltre 3500, per un importo complessivo di 4,4 miliardi) risulta avviato; il 15% degli interventi è a fine lavori“.

Stiamo ricostruendo un’area di 8000 chilometri quadrati, il più grande cantiere edile d’Europa. Ma non basta ripristinare palazzi, uffici, abitazioni o capannoni. E’ necessario, ma non sufficiente. Bisogna ricreare le condizioni perché la vita nell’area del cratere sia possibile, conveniente, più facile e felice. Nell aree del Centro Italia, soprattutto a ridosso dell’Appennino è in atto da anni, da molto prima della sequenza sismica 2016-2017, un processo di spopolamento, che si aggiunge alla crisi demografica nazionale. L’attività di ricostruzione post-sisma deve essere accompagnata da un’altrettanto sistematica azione di rigenerazione economica e sociale. Dobbiamo offrire le occasioni per restare e per tornare“.

Restanza e tornanza, sono due espressioni che usiamo spesso, riecheggiando un saggio del sociologo e antropologo Vito Teti. E riceviamo segnali positivi: dove ci sono attività d’impresa i flussi demografici diventano migliori della media nazionale. Un territorio montano e collinare – come quello dell’Appennino centrale – che possa contare su un presidio umano efficiente e operoso offre un vantaggio a tutto il Paese, alle valli e ai litorali. E’ un presidio che protegge dal rischio idrogeologico, è un presidio che consente di promuovere innovazione e radicamento delle attività economiche, è un presidio che valorizza anche a fini turistici il patrimonio naturale e artistico, protegge la biodiversità che assicura una sostenibilità ‘intelligente’ al territorio“.

La ricostruzione ha accelerato grazie a innovazione, digitalizzazione e semplificazione. Quanto questi strumenti hanno realmente inciso sull’efficacia degli interventi nei territori terremotati?

L’innovazione tecnologica è un elemento irrinunciabile nella ricostruzione. Non è più il tempo di una ricostruzione “dov’era, com’era”. Ricostruire vuol dire ricreare le condizioni di abitabilità nei luoghi più sicuri, utilizzando tutte le competenze tecnologiche a disposizione. Gli ingegneri e gli architetti, non solo italiani, guardano con attenzione alle soluzioni che stiamo adottando. Innovazione tecnologica e digitalizzazione sono anche la condizione per una sempre più necessaria connessione di questi territori con le altre parti del Paese. Connessione digitale, per assicurare servizi alla persona, sempre più spesso fruibile mediante la Rete; connessione fisica, grazie alle infrastrutture stradali (e non solo, anche ferroviari) che devono garantire collegamenti in tempi congrui alla contemporaneità“.

Grazie al programma NextAppenninosarà possibile stendere una rete di punti wifi a banda ultralarga pubblici e gratuiti in 183 Comuni dell’Appennino centrale. Dove la geografia ci penalizza, la digitalizzazione ci consente di avere una marcia in più. La rete internet che grazie a Infratel andremo a installare nei due crateri, sisma 2009 e sisma 2016, rappresenta un volano per l’economia e per la possibilità di restare anche per i più giovani, perché ormai una connessione internet è imprescindibile per svolgere la maggior parte delle professioni, per studiare, per usufruire di servizi fondamentali. E per noi rappresenta anche uno dei presupposti per rendere operative tutte le azioni digitali previste nel cratere, comprese quelle legate al sistema dei data center. La connessione, che garantirà una velocità di almeno 1 gigabit sia in download che in upload e con una banda minima garantita di 100 megabits al secondo, sarà disponibile gratuitamente per i prossimi cinque anni“.

Progetti legati all’agricoltura, alla filiera del legno, all’artigianato e al turismo stanno tornando centrali nell’Appennino. In che modo la ricostruzione può diventare anche rigenerazione economica e occupazionale?

Come dicevo vogliamo e dobbiamo ripartire dalla realtà: c’è vita nel cratere, una vita che ha bisogno di essere aiutata. Oggi solo il 25% del territorio appenninico del cratere è destinato ad attività agro-silvo-pastorali. E il 70% è occupato da boschi, raramente messi a valore, e troppo spesso abbandonati. Difendere l’agricoltura e renderla “innovativa”, aiutando il made in Italy, lungo tutta la filiera agro-alimentare, è essenziale, così come implementare le filiere del legno: materia prima molto disponibile, nei nostri boschi, ma poco utilizzata. Stiamo promuovendo l’uso del legno anche in edilizia, cosa ormai consolidata nelle Alpi, non ancora sviluppata adeguatamente nell’Appennino. Stiamo promuovendo il turismo in un territorio bellissimo, ricco di storia, arte, cultura e natura. L’obiettivo è destagionalizzare la montagna, offrendo occasioni di turismo tutto l’anno, non solo nei mesi invernali, alla ricerca della neve. La valorizzazione dei ‘Cammini’, vie di trekking nella natura, così come percorsi per pellegrinaggi spirituali, o itinerari tra arte e cultura, condotti con quella lentezza che il passo di chi cammina riesce a godere al meglio, è un’altra opportunità di promozione del nostro territorio e di sviluppo economico e sociale“.

Il ruolo della cultura, delle università e degli eventi diffusi è stato centrale nella rinascita del territorio. Come si può rendere strutturale questo fermento culturale per evitare il rischio dell’effetto ‘evento isolato’?

La cultura, insieme alla riparazione delle attività socio-economiche, è sempre un driver essenziale per generare “nuovo sviluppo”, almeno nella varietà del territorio italiano, dove ogni regione è uno scrigno di patrimonio artistico e culturale e dove cultura si declina spesso in quella dimensione di qualità della vita, dall’agroalimentare all’artigianato, che rafforza le identità delle comunità e della loro “proposta” di biodiversità. Il capitale culturale è anche il risultato della convivenza tra comunità umane e l’ambiente: il mosaico tra gli elementi naturali e i segni lasciati dall’uomo caratterizza in profondità il paesaggio e restituisce compiutamente i valori identitari dei luoghi. Università e ricerca rappresentano un driver fondamentale e tutt’altro che occasionale. Nel territorio del cratere ci sono almeno cinque Università che già contribuiscono in modo decisivo all’obiettivo della ‘restanza’ per i giovani così come all’obiettivo dell’attrazione di nuove risorse umane proveniente da altri territori“.

I Centri di Ricerca per l’Innovazione sono localizzati all’interno delle aree dei due crateri 2009 e 2016 e sono promossi da soggetti aventi sede nelle aree dei due crateri. I Centri di Ricerca agiscono nella logica e nella modalità hub-spoke, ossia attraverso un sistema che opera attraverso un soggetto capofila che coordina iniziative e programmi di ricerca che coinvolgono anche altre università e centri di ricerca. In questo modo si realizza un polo coordinato, con una specializzazione territoriale e una sede principale di riferimento. La rete trova riferimento in 4 hub capofila posizionati rispettivamente presso l’Università di Camerino (Scienze e tecniche della ricostruzione); Rieti (Economia circolare e salute); Perugia (Digitalizzazione e valorizzazione del patrimonio culturale); Teramo (Ricerca agroalimentare). Il networking prevede la costituzione di laboratori e la promozione di attività che coinvolgono in modo diverso tutte le sedi universitarie e i centri di ricerca pubblici operanti nei territori dei due crateri dei terremoti 2009 e 2016 e che hanno sottoscritto uno specifico protocollo di intesa con i soggetti attuatori“.

Quali sono i principali obiettivi che si pone per il futuro, e su quali ambiti ritiene sia ancora necessario un forte impegno istituzionale per garantire un futuro sostenibile all’Appennino centrale?

L’esperienza della ricostruzione/riparazione del cratere sisma 2016 presenta caratteristiche senza precedenti nella storia degli interventi post eventi catastrofici. Per la prima volta la ricostruzione degli insediamenti danneggiati è accompagnata da risorse dedicate a creare le condizioni per migliorare gli standard di vita, con il programma NextAppennino (“Macro-misura A – Città e paesi sicuri, sostenibili e connessi” e di lavoro: “Macro-misura B – Rilancio economico e sociale”). Si tratta di un approccio innovativo che ha trovato riconoscimento ufficiale nel D.P.R. del 13 gennaio 2023 che ha esteso le competenze del Commissario straordinario del Governo alla riparazione, alla ricostruzione, all’assistenza alla popolazione e alla ripresa economica dei territori. Una “mission” che avvicina l’esperienza della Struttura Commissariale ad altre strategie territoriali come quella per la coesione o delle aree interne“.

Come Struttura Commissariale riteniamo di estrema importanza allineare le proposte di policy alle indicazioni dell’attuale Commissione Europea e, nello specifico, al nuovo indirizzo che il vicepresidente esecutivo della Commissione e Commissario europeo per la politica regionale e di coesione Raffaele Fitto ha comunicato in diversi interventi ufficiali. Il Commissario Fitto ha annunciato che la Commissione europea adotterà una comunicazione sulla revisione di medio termine della politica di coesione per modernizzarla, renderla più semplice, incisiva, più mirata e rivolta con attenzione alle aree marginali. Fittoha rimarcato che per la prima volta il suo portafoglio sulla coesione copre anche agricoltura, trasporti e turismo, economia blu e pesca, quindi, è necessario migliorare il coordinamento tra gli strumenti UE e quelli nazionali integrando i finanziamenti per massimizzare l’impatto. La nuova politica di coesione europea, inoltre, prende finalmente atto che il territorio europeo presenta distinte diversità geografiche, ciascuna con le sue sfide specifiche. Si tratta di realtà diverse che richiedono approcci diversi per le quali bisogna adottare modelli di governance multilivello che tengano conto delle diverse esigenze“.

Guardando al futuro dell’Appennino centrale, quale visione ha in mente? E qual è la speranza più grande che porta con sé?

Il primo obiettivo resta quello di consentire il ritorno nelle case e nei luoghi di lavoro della popolazione che ancora deve vivere fuori e magari lontano dai territori in cui avevano casa e lavoro. Il sogno più grande da coltivare è quello di contrastare con efficacia e con intelligenza lo spopolamento. Non si tratta più di un confronto Nord-Sud. Oggi, quel discrimine appare riduttivo. È emersa una faglia più profonda e trasversale, che oppone i grandi centri urbanizzati, dotati di infrastrutture, capitale umano e capacità amministrativa, alle aree interne, spesso montane, periferiche, segnate dalla rarefazione dei servizi essenziali, dallo spopolamento e, in non pochi casi, dalla memoria ancora viva di eventi sismici devastanti. Sono queste “terre di mezzo” a costituire il vero banco di prova per una politica che voglia essere insieme di coesione e di sviluppo. Perché se è vero che i giovani continuano a cercare altrove un futuro, è altrettanto vero che senza un’inversione di tendenza nei territori fragili non ci sarà riequilibrio possibile. La modernità non può essere concentrica: o è diffusa, o non è. L’esperienza che stiamo conducendo nella rinascita del territori colpiti dal sisma 2016 può diventare un paradigma riproponibile per la rigenerazione di molte delle aree interne e marginali del nostro Paese“.





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