Dalla transizione non si torna indietro


Nei dieci anni dall’adozione dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile possiamo distinguere due fasi: la prima, nella quale hanno dominato le spinte economiche, politiche e culturali dirette a metterla in pratica per raggiungere gli obiettivi da essa indicati. La seconda, nella quale si sono affermati orientamenti politici e culturali opposti, con il rafforzamento delle spinte nazionalistiche e degli oligopoli economici, l’indebolimento dei sistemi di dialogo multilaterale, l’uso generalizzato della disinformazione, le guerre e la violenza come strumenti per la risoluzione delle controversie. Se a dividere in modo netto le due fasi è stata la pandemia da Covid-19, negli ultimi sei mesi chi spera che quei valori guidino le scelte dei leader politici ed economici ha subito una “doccia fredda”.

L’avvio dell’Amministrazione Trump ha determinato cambiamenti profondi nelle relazioni internazionali e nel funzionamento del sistema economico e politico statunitense, con evidenti ricadute sulle priorità dell’Unione europea, e quindi del nostro Paese. Tra l’altro, la parola “sostenibilità” non può essere usata dalle agenzie federali e il rappresentante degli Stati Uniti all’ONU ha detto che “gli sforzi globalisti come l’Agenda 2030 e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile […] sono contrari ai diritti e agli interessi del popolo americano [e che] pertanto, gli Stati Uniti respingono e denunciano l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile”.

A livello europeo la situazione appare contraddittoria: con il “Patto per l’industria pulita” proposto dalla Commissione è stato confermato l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e il taglio del 55% delle emissioni al 2030 e del 90% al 2040. D’altra parte, in nome delle “semplificazioni” la Commissione ha proposto (pacchetto Omnibus) modifiche significative delle Direttive sulla rendicontazione di sostenibilità e sul dovere di diligenza delle imprese, nonché del Regolamento sulla tassa sul carbonio alle frontiere e della Tassonomia degli investimenti ecosostenibili.

A fronte dell’accoglienza positiva espressa da diverse associazioni imprenditoriali, molte grandi imprese, organizzazioni della società civile e perfino la Banca Centrale Europea hanno espresso dubbi e critiche sul pacchetto Omnibus, la cui adozione determinerebbe un forte indebolimento dei quadri normativi finalizzati a promuovere comportamenti responsabili sul piano sociale e sostenibili su quello ambientale da parte delle imprese. Peraltro, visto che le banche continueranno a domandare dati relativi ai fattori Environment, Social and Governance (ESG) al fine di valutare i rischi finanziari ad essi connessi, la messa in pratica delle proposte della Commissione minerebbe comparabilità, qualità e trasparenza dei dati, senza parlare del fatto che molte imprese hanno già attivato investimenti rilevanti in questo campo, anche per ottenere vantaggi reputazionali sia nei mercati dei loro prodotti che nelle relazioni con la filiera e con il sistema finanziario.

Quanto brevemente ricordato ha fatto dire ad alcuni che “la sostenibilità è passata di moda”, ennesima fake news messa in giro da chi si batte contro la trasformazione del sistema economico promossa dall’Agenda 2030. Ovviamente, le difficoltà nella sua attuazione sono cresciute enormemente e la scelta europea di aumentare le spese per la difesa drenerà risorse destinabili a migliorare la competitività e la giustizia sociale, fronteggiare la crisi climatica e favorire il ripristino degli ambienti degradati. Ma la sostenibilità è sempre più al centro delle scelte delle imprese e della società civile non solo perché è l’unica strada per un futuro di benessere, ma anche perché conviene sul piano economico.Il successo del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2025, con gli oltre 1.300 eventi (+45% rispetto al 2024) organizzati in tutta Italia, testimonia che la società civile crede nei valori dell’Agenda 2030 e si impegna per realizzarli. D’altra parte, i dati citati nel Rapporto indicano chiaramente che le imprese italiane che hanno scelto la sostenibilità aumentano produttività e competitività. In particolare, tra le imprese che hanno investito sulla sostenibilità ambientale (il 34,5% delle unità con 3-9 addetti e il 73,8% di quelle con 250 e più addetti) quelle manifatturiere con un profilo di sostenibilità «alto» (7,1% del totale) hanno una crescita addizionale del valore aggiunto pari al 16,7% rispetto a quelle non sostenibili. Inoltre, per il 92% delle imprese familiari e per l’89% delle non familiari integrare la sostenibilità comporta benefici: per questo, la sostenibilità è uno degli obiettivi prioritari delle imprese nel prossimo futuro. Infine, solo il 21% delle imprese indica il rafforzamento delle normative climatiche come un rischio, mentre più del 50% di quelle manifatturiere ha già investito nell’efficientamento energetico.Insomma, la sostenibilità conviene già ora e può accelerare la futura crescita economica del Paese. Dunque, essa deve restare la stella polare dei comportamenti individuali e collettivi, concetto che la politica italiana stenta ancora ad abbracciare. E i risultati di questo scetticismo si vedono.

*Enrico Giovannini, co-fondatore e direttore scientifico dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS), parteciperà al G&B Festival 2025.

L’articolo è tratto dal numero di Green&Blue in edicola il 4 giugno, allegato a Repubblica e dedicato al Festival di Green& Blue (Milano, 5-7 giugno)

La partecipazione al G&B Festival è gratuita previa registrazione.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link