Ascoltare Panetta sui salari: il problema è la produttività



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le parole del governatore

Le Considerazioni finali della Banca d’Italia riportano il dibattito economico su binari concreti: senza crescita della produttività non c’è spazio per aumenti salariali sostenibili. E innovare spetta prima di tutto al settore privato


Come spesso accade, la prosa tersa delle Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia costringe il dibattito pubblico a tenere i piedi per terra. E così – per fare solo qualche esempio – la “crescente disillusione nei confronti della globalizzazione” viene correttamente ricondotta all’impatto del progresso tecnico e alla “distorsione generate da pratiche commerciali scorrette”, fermi restando i vantaggi derivanti dal libero scambio. E le difficoltà dell’economia europea sono correttamente ricondotte ai cospicui ritardi registrati in termini di produttività e innovazione e di questi ultimi si indica l’origine nel “debole apporto di aziende giovani e innovative” e nella frammentazione della spesa pubblica in ricerca e sviluppo (e non necessariamente nella carenza di volumi crescenti della stessa). E, ancora, il maggior dinamismo dell’economia americana è identificato con la capacità di quel “tessuto imprenditoriale [di rinnovarsi] continuamente grazie a nuove imprese capaci di affermarsi nei mercati più dinamici” talché diventa essenziale – anche se, beninteso, non esclusivo – per l’Europa eliminare “le residue barriere interne alla circolazione di beni, capitali e persone” anche al fine di “mobilitare capitali privati per finanziare progetti imprenditoriali innovativi”.

Questa puntuale e concreta lettura della realtà, riportata al caso italiano consente di registrare alcuni indubbi progressi – a partire dallo stato della finanza pubblica – e fa giustizia, fra l’altro, di quello che, nel nostro dibattito pubblico, appare sempre più come un ritorno al concetto del salario come variabile indipendente. “Occorre aumentare i salari” si ripete spesso senza riflettere. Sotto questo profilo, le Considerazioni finali non lasciano spazio alcuno a velleità tardo-sessantottine. “Il problema centrale rimane la produttività. Gli incrementi finora conseguiti sono incoraggianti, ma non bastano a sostenere lo sviluppo del paese. Il basso livello dei salari riflette questa debolezza: dall’inizio del secolo, in linea con la stagnazione della produttività, le retribuzioni reali sono cresciute molto meno che negli altri principali paesi europei”.  Perché i salari tornino ad aumentare più che limare il “cuneo” oggi (perché poi lo si aumenti domani) è dunque necessario che torni a crescere la produttività, e perché questo accada è imperativo che il paese torni a innovare ben più di quanto già non fa (se lo fa e dove lo fa). E “lo sforzo [per innovare] deve provenire in larga misura dal settore privato”. Al settore pubblico spetta costruire le condizioni perché il settore privato torni a considerare attraente l’assunzione di rischio e l’attività di impresa, in un ambiente di mercato trasparente e giuridicamente certo, al riparo da invasioni di campo (in cui, osservano le Considerazioni finali a proposito delle concentrazioni bancarie, il “giudizio [spetti] alle dinamiche di mercato e alle scelte degli azionisti”). Condizioni che non si traducono solo ed esclusivamente nel supporto economico pubblico all’attività privata ma anche se non soprattutto in un deciso miglioramento di alcuni comparti del settore pubblico (e, sotto questo profilo, i riferimenti al settore dell’università sono eloquenti). Condizioni che nel caso italiano sconsigliano un ricorso al debito, “che toglie spazio agli investimenti e condiziona le politiche economiche”.

Come troppo spesso è accaduto in passato, forse anche in questo caso, il dibattito pubblico cercherà prontamente di liberarsi dai fastidiosi (per alcuni) ma ineludibili (per tutti) “principi di compatibilità” che innervano le Considerazioni finali. Principi di compatibilità – è bene ricordarlo – il cui rispetto fa, nel medio-lungo periodo, tutta la differenza, sia in termini di efficienza che di equità.





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