La partecipazione dei lavoratori agli utili è legge, dipendenti anche nei cda: cosa cambia


Lavorare in azienda non sarà più come prima grazie alla nuova legge sulla partecipazione agli utili appena approvata dal Senato. Imprese e lavoratori non più in netta contrapposizione ma compatti, in un fronte comune: è questo il radicale cambio di paradigma che dà attuazione al diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione aziendale sancito dall’articolo 46 della Costituzione italiana.

Come cambierà la gestione aziendale con lavoratori dipendenti? Partitaiva.it ha cercato di dare una risposta a questa domanda entrando nel merito di tutte le novità introdotte dalla normativa e delle modalità attraverso le quali si declinerà il ruolo e la partecipazione dei lavoratori agli utili nei processi organizzativi, gestionali ma anche economici e finanziari dell’impresa dalla quale vengono assunti.

Cercheremo di capire anche se siamo effettivamente di fronte a un possibile rimedio contro il triste fenomeno del quiet quitting, ovvero il dipendente che non partecipa attivamente alla vita aziendale, che riduce al massimo il suo impegno lavorativo. E che, senza ambizione, passione né coinvolgimento professionale, si limita a fare lo stretto necessario senza andare oltre le mansioni contrattuali.

Partecipazione agli utili, il lavoratore diventa parte di un progetto collettivo

A proposito del Ddl 1407, approvato nei giorni scorsi in via definitiva, qualcuno ha parlato di un testo che è espressione di una visione troppo volontaristica ma soprattutto monca per via dell’assenza di obblighi per le imprese pubbliche. Al contrario, il sindacato Cisl, che la legge l’ha proposta, ha sottolineato piuttosto gli enormi vantaggi che deriveranno da queste importanti novità sugli utili aziendali sotto il profilo della competitività ma anche del welfare aziendale e del benessere dei lavoratori, finalmente parte integrante di una visione di impresa che punta all’inclusione e alla democrazia economica.

A schierarsi a favore della nuova legge c’è anche il segretario della UGL, Paolo Capone che a Partitaiva.it spiega quale ciclo virtuoso può innescare il superamento dell’antica contrapposizione tra capitale e lavoro: “Significa aprire la strada a un modello di relazioni industriali più maturo, più equo e più stabile – chiosa -. I vantaggi non si limitano alla competitività delle aziende, ma investono anche la qualità dell’occupazione, la coesione sociale, il senso di appartenenza e la motivazione dei dipendenti. Quando i lavoratori partecipano attivamente alla vita dell’impresa, non solo migliorano le performance aziendali, ma si sentono parte integrante di un progetto collettivo. È questo il cuore della democrazia economica che l’UGL promuove da sempre: una visione moderna del lavoro, basata sulla corresponsabilità”.

Capone, segretario Ugl: “Superare carattere facoltativo della norma su utili aziendali”

Parola d’ordine: partecipazione agli utili e all’organizzazione aziendale. E a proposito di partecipazione, la legge introduce una novità significativa. Lavorare in azienda, infatti, da oggi potrà significare anche essere consultati preventivamente sulle scelte aziendali o addirittura avere la possibilità di entrare nel consiglio di sorveglianza di rappresentanti dei dipendenti. “Senza dubbio è un passo avanti storico – commenta il segretario UGL – che rompe un immobilismo durato 77 anni. Finalmente diamo attuazione all’articolo 46 della Costituzione e introduciamo strumenti concreti per valorizzare il ruolo attivo dei lavoratori, dalla distribuzione degli utili alla presenza nei CdA”.

Tuttavia, il testo presenta ancora margini di miglioramento. “In particolare – sottolinea Capone – riteniamo necessario superare il carattere facoltativo della norma. Se vogliamo che la partecipazione agli utili non resti un principio astratto ma diventi pratica diffusa, occorre introdurre l’obbligatorietà almeno per le aziende pubbliche e, in prospettiva, anche per quelle private. L’UGL si batterà per questo obiettivo, con spirito costruttivo”.

Dipendenti nei cda e utili aziendali esentasse fino a 5 mila euro

Cosa sono gli utili da partecipazione? Per rispondere a questa domanda dobbiamo prima elencare i quattro i livelli di coinvolgimento previsti dalla norma: gestionale, economico-finanziaria, organizzativa e consultiva. A partire da questo momento, dunque, all’interno dei cda e dei consigli di sorveglianza potrà essere prevista la presenza di rappresentanti dei lavoratori.

La legge inoltre stabilisce la possibilità di istituire commissioni paritetiche per l’innovazione e distribuire una quota degli utili con agevolazioni fiscali. Previsti anche piani di partecipazione finanziaria con esenzioni parziali sui dividendi:

  • in caso di distribuzione ai lavoratori dipendenti di una quota degli utili di impresa non inferiore al 10%, sarà possibile applicare la cedolare del 5% fino ad importi pari a 5 mila euro lordi;
  • i dividendi corrisposti ai lavoratori derivanti dalle azioni attribuite in sostituzione del premio di risultato fino a 1.500 euro annui sono esentasse per il 50% del loro ammontare.

Partecipazione agli utili, possibile rimedio al lavoro povero?

L’occupazione sale, crolla il potere di acquisto. Aumenta il numero degli occupati ma non crescono i salari reali. È l’Istat, nel Rapporto annuale 2025 pubblicato appena qualche giorno fa, a certificare come in cinque anni (2019-2024) i salari reali abbiano perso il 10,4% del potere d’acquisto.

Numeri impietosi da cui deriva il rischio povertà o esclusione sociale per un italiano su quattro. Un rischio che aumenta per quelle famiglie il cui principale percettore di reddito ha meno di 35 anni. Un rischio da cui, guardando ai dati, non è immune neanche chi eredita patrimoni ingenti. Senza un’oculata gestione, infatti, anche agiatezza economica e benessere finanziario possono andare in fumo in tempi brevissimi. Tra l’altro, sono proprio i dati a dirci che le imprese familiari, considerate il modello preponderante di gestione aziendale in Italia, stanno lasciando sempre più spazio alle società di capitali.

È dalla partecipazione agli utili, dunque, che potrebbe partire la riscossa dei salari. Un maggiore coinvolgimento dei lavoratori, non solo nella fase organizzativa, ma anche in quella della gestione economico-finanziaria, potrebbe finalmente dare una scossa al lavoro povero perché lavorare in azienda con la prospettiva di un ritorno economico derivante non solo dallo stipendio ma anche da bonus o da pagamenti aggiuntivi in base ai risultati finanziari e alla redditività dell’azienda certamente potrebbe migliorare la situazione reddituale del dipendente.

Capone: “Ora rafforzamento della contrattazione collettiva per ridare dignità ai lavoratori”

Sulla necessità di dare una scossa ai salari Capone ha le idee molto chiare: “Il primo passo è stato importante – ci spiega – ma ora serve continuità e determinazione. Il passo successivo è proprio quello di rendere strutturale la partecipazione all’organizzazione aziendale, eliminando le resistenze ideologiche e riconoscendo pienamente ai lavoratori un ruolo di protagonisti. Dobbiamo intervenire sul piano normativo per rafforzare la contrattazione collettiva, promuovere la contrattazione di secondo livello e costruire un sistema produttivo più inclusivo. In un’epoca di trasformazioni profonde, la partecipazione non è solo un valore costituzionale: è una leva strategica per affrontare sfide come l’innovazione, la formazione e la tenuta occupazionale”.

“Oggi più che mai, serve rimettere al centro l’articolo 36 della Costituzione, che sancisce il diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente per una vita dignitosa. In un contesto in cui i salari italiani subiscono da oltre trent’anni una continua erosione, è fondamentale affrontare il tema con serietà, evitando scorciatoie demagogiche come il salario minimo legale. È attraverso il rinnovo dei contratti nazionali e il rilancio della contrattazione di secondo livello che possiamo garantire salari adeguati e difendere il potere d’acquisto. Solo così daremo piena attuazione all’articolo 36, tutelando davvero i diritti e la dignità del lavoro”.

Lucchesi (Cgil Sicilia): “Partecipazione dei lavoratori agli utili non è novità, tutto già scritto nello Statuto dei lavoratori e nei contratti collettivi”

Il provvedimento promosso dalla Cisl è nato con l’intento di cambiare radicalmente la cultura di impresa e la mentalità di imprenditore e lavoratore è stato fortemente contestato dalla Cgil. Secondo il sindacato guidato da Maurizio Landini, la legge farebbe l’interesse dei datori di lavoro e non dei lavoratori.

Francesco Lucchesi, componente della segreteria della Cgil Sicilia, entra nel dettaglio: “Partiamo dal presupposto – esordisce nella sua intervista a Partitaiva.it – che rispetto alla proposta iniziale, la legge di iniziativa popolare della Cisl ha visto uno stravolgimento dei suoi contenuti durante l’iter di approvazione”. Ma il punto non è tanto questo. “La partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali – chiosa Lucchesi – era già prevista dalle nostre leggi. Lo Statuto dei lavoratori e i contratti collettivi nazionali, infatti,contengono nella parte introduttiva una disciplina ad hoc, ovvero una parte interamente dedicata a prerogative, diritti di informazione e a come si sviluppano i rapporti tra organizzazioni sindacali e imprese”.

La preoccupazione della Cgil è che questa novità legislativa sulla partecipazione agli utili, in realtà possa andare a smontare una disciplina “che siamo riusciti ad ottenere alla fine di lunghe battaglie che abbiamo portato avanti anche in sede di rinnovo dei contratti collettivi nazionali”, spiega il sindacalista.

Meccanismi partecipativi previsti anche da comitati paritetici ed enti bilaterali

Lucchesi ci spiega che i meccanismipartecipativi ai processi aziendali vengono messi in atto non solo attraverso lo Statuto dei lavoratori e i contratti collettivi nazionali. “Ci sono anche i comitati paritetici – dice – di cui ad oggi fanno parte sia le organizzazioni sindacali che datoriali e che contraddistinguono in modo particolare settori come quello metalmeccanico, chimico e più in generale dell’industria”.

“Anche il Testo sul sistema di relazioni sindacali e di partecipazione di una azienda – osserva il sindacalista della Cgil – già prevede meccanismi di partecipazione alla gestione aziendale ed in particolare agli orari, alle modalità e all’organizzazione del lavoro”.

Utili aziendali, in Italia soprattutto imprese familiari e di piccole dimensioni

“Allo scopo di promuovere sistemi di relazioni industriali di tipo partecipativo – aggiunge Lucchesi – lavorano anche gli enti bilaterali come quello dell’edilizia, del commercio e del turismo, che garantiscono una presenza paritetica della componente sindacale e datoriale e che dove ci si confronta costantemente anche sugli scenari territoriali in cui le aziende svolgono la propria attività”.

“Dobbiamo anche ragionare anche sul tessuto economico e sociale in cui le imprese si muovono – conclude Lucchesi -. In Sicilia, ad esempio, il 98% delle aziende dispone di personale sotto le 10 unità. Parliamo di aziende a conduzione per lo più familiare. Vorrei capire in che modo il lavoratore possa entrare a far parte di realtà così piccole”.

I rischi della partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese: le preoccupazioni della Cgil

“Sulla partecipazione agliutili aziendali – spiega Lucchesi a Partitaiva.it – siamo contrari perché pensiamo ad esempio al sistema cooperativo dove spesso vi sono realtà aziendali che, allo scopo di aggirare le normative esistenti, trasformano i lavoratori in soci delle cooperative, condividendo oneri e non onori. Quando vanno male le cose chiamano in causa i lavoratori, poi di fatto escludendoli totalmente dalla partita degli utili”.

Secondo Lucchesi, dare piena applicazione all’articolo 46 della Costituzione significa piuttosto “fare una legge sulla rappresentanza che certifichi il reale peso di ogni sigla sindacale dentro i luoghi di lavoro e rispetto ai vari settori economici e ai contratti collettivi nazionali”.

“Fino ad allora, il Governo continuerà a convocare anche organizzazioni sindacali che non si sa bene chi o cosa rappresentino. Dando così gli stessi titoli in maniera equiparata. Ma una cosa è rappresentare cinque milioni di lavoratori, altra cosa è rappresentarne poche migliaia”.



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