Dall’industria leggera all’alta tecnologia: così cambia l’economia di Modena e Reggio Emilia


Reggio Emilia Negli ultimi dieci anni l’Emilia-Romagna ha superato le altre maggiori regioni italiane per tasso di crescita del PIL e valore dell’export pro-capite. Al tempo stesso, l’economia regionale è stata attraversata da importanti cambiamenti strutturali, come il declino dei settori low-tech (tessile-abbigliamento, calzaturiero, legno e mobilio), la crescita dei settori medium e high-tech (meccanica, meccatronica, chimica, biomedicale), la nascita e affermazione di imprese leader distrettuali fortemente votate all’internazionalizzazione e l’arrivo delle imprese multinazionali. La qualità dell’offerta dei servizi pubblici è rimasta di buon livello. Queste trasformazioni sono state particolarmente evidenti nelle province di Modena e Reggio Emilia che, insieme a Bologna, costituiscono il cuore industriale della regione. La doppia Transizione – digitale ed ecologica – segnerà nei prossimi decenni l’evoluzione dell’economia delle due province. Esse si collocano in un quadro caratterizzato, negli ultimi due anni, da un rallentamento della crescita economica e da un calo della produzione manifatturiera che ha interessato tutti i comparti tranne l’agroalimentare. La contrazione dell’industria è legata alla crisi dell’economia tedesca, con la quale il tessuto produttivo delle due province ha relazioni produttive molto strette, e ai problemi strutturali di alcuni settori cardine dell’economia locale, come l’automotive e il biomedicale. Nell’ultimo biennio, la crescita economica nelle due province è stata trainata soprattutto dal settore delle costruzioni (sostenuto dapprima dagli incentivi fiscali per la riqualificazione del patrimonio abitativo e poi dalla realizzazione di opere pubbliche in attuazione del PNRR) e da alcuni comparti del terziario, in particolare il turismo. In questo contesto, negli anni Duemila la Regione Emilia-Romagna ha promosso una più stretta interazione fra imprese e istituzioni della ricerca per favorire il trasferimento di tecnologico e la valorizzazione economica dei risultati della ricerca, al fine di allargare la base di conoscenza della regione e promuovere la diversificazione dell’apparato produttivo in nuovi settori a maggiore intensità tecnologica.

Questa azione ha portato alla creazione della Rete dei Tecnopoli dell’Emilia-Romagna, dislocati in più di 20 sedi sul territorio della regione, che organizzano attività e servizi per l’innovazione, lo sviluppo sperimentale e il trasferimento tecnologico. Presso i tecnopoli hanno sede i laboratori di ricerca industriale della Rete Alta Tecnologia dell’Emilia-Romagna, dotati di moderne strumentazioni di ricerca e personale dedicato ad attività e servizi per le imprese. Questi interventi hanno avuto una declinazione ancora più chiara con la peculiare interpretazione in chiave regionale della Smart Specialization Strategy (S3) europea, che ha consentito una rilettura delle più importanti tradizioni manifatturiere della regione, organizzate ora in sette grandi filiere: agroalimentare; edilizia e costruzioni; meccatronica e motoristica (che compongono la Priorità A della S3); cultura e creatività; salute e benessere (Priorità B); energia e sostenibilità (Priorità C); innovazione nei servizi (Priorità D). Per ciascuna di esse, si è costruito un think tank (chiamati Clust-ER): associazioni pubblico-privato a partecipazione onerosa, che includono imprese rappresentative, università, laboratori di ricerca, enti di formazione e settore pubblico, con il compito di identificare, per ciascuna filiera, i possibili scenari di sviluppo e gli strumenti di policy più adatti a sostenerli. Tra le iniziative a sostegno della transizione digitale spicca il Tecnopolo dei Big Data di Bologna. Le dimensioni e la potenza di calcolo di questa infrastruttura superano le soglie oltre le quali è possibile diventare riferimento per la crescita di figure professionali nuove in grado di governare quei processi di ingegnerizzazione di secondo livello che sono indispensabili per la applicazione industriale delle tecnologie 4.0. Il Tecnopolo potrebbe contribuire in misura rilevante a fare entrare l’Emilia-Romagna in traiettorie di sviluppo nuove che avranno un ruolo centrale nei nuovi scenari competitivi. All’azione finalizzata a potenziare l’infrastruttura digitale si accompagnano gli interventi volti a rafforzare la dotazione di capitale umano della regione, come la creazione degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), l’attivazione dei corsi di master di ingegneria dell’autoveicolo del consorzio MUNER, che unisce le quattro università della regione, e la vasta gamma di corsi di formazione a sostegno della digitalizzazione delle imprese della regione.

Al tempo stesso, nell’economia emiliano-romagnola – e in quelle delle province di Modena e Reggio – vi sono alcuni punti critici che predatano la fase di contrazione della produzione industriale degli ultimi due anni. In primo luogo, la riduzione del numero delle imprese, soprattutto di piccola dimensione, legata alla forte selezione in atto nella subfornitura, che rischia di creare dei buchi nella matrice delle competenze presenti sul territorio. C’è poi la breve durata dei rapporti di lavoro. In tutti i settori la durata delle nuove assunzioni si concentra nelle classi inferiori a un anno: questo accade anche nelle imprese leader e non soltanto nelle imprese più fragili. L’enorme diffusione di contratti di lavoro di breve durata è, in prospettiva, un pericolo, in quanto può preludere ad un disinvestimento in capitale umano sia da parte delle imprese che dei lavoratori. C’è anche la formazione professionale. In Emilia-Romagna, meno della metà delle imprese fa formazione o la pianifica. I centri di formazione preferiscono i corsi a catalogo, facili da organizzare, ma meno capaci di cogliere i saperi locali. Infine, la digitalizzazione. In Italia, la digitalizzazione non ha fatto perdere competitività ai sistemi produttivi locali (al contrario che in Germania): I sistemi produttivi che hanno investito di più nella digitalizzazione hanno incrementato produttività e capacità competitiva, preservando i livelli di occupazione. In Emilia-Romagna emergono due aspetti: il primo è che il valore modale dell’indice di maturità digitale delle imprese è 1,60, su una scala cha va da 0 a 4: nella transizione digitale la regione appare ancora in mezzo al guado. Il secondo è che la consapevolezza digitale delle imprese appare ancora in larga misura inadeguata: molte di esse non adottano le key enabling technologies (KET) e, quando lo fanno, in molti casi non fanno una formazione congruente. Vi è una questione che sta sullo sfondo di quanto sopra esposto e che pone il problema strutturale forse più importante per il futuro: le province di Modena e Reggio Emilia sono un territorio attrattivo, ma con una popolazione sempre più anziana e in contrazione (in riferimento al saldo naturale tra i nati e i morti), con classi di età giovanili che perdono peso anche in termini assoluti. Un buco che può essere colmato solo dall’immigrazione. Flussi migratori non programmati e non governati mettono in crisi i sistemi di accoglienza, creano problemi di sicurezza, generano conflitti con i cittadini “autoctoni” e con gli immigrati da più lunga data. Diventa, così, cruciale gestire reti migratorie legali, lavorare all’integrazione dei migranti, ridisegnare la formazione, e questo richiede competenze che nell’economia locale ora non ci sono: quelli che nel mondo anglosassone sono chiamati social workers, figure professionali specifiche con formazione secondaria e terziaria con la competenza specifica di gestire reti sociali (lingua, legge, convenzioni, modalità di soluzione dei conflitti, e così via). Amministrazione e finanza Il 2023 ha consolidato la fase post-pandemica, penalizzata dall’inflazione ancora elevata (5,7% a fine anno), dalla stretta monetaria e dalle tensioni geopolitiche.

Dopo il rimbalzo del biennio 2021-22, l’economia globale ha rallentato, impattando soprattutto la manifattura europea. Anche l’area padana ha sofferto, ma le “Top aziende” di Modena e Reggio Emilia hanno saputo dimostrare un buon grado di resilienza. Il fatturato aggregato modenese è salito a 44,4 miliardi di euro, +5,2 % sul 2022 in termini nominali, ma segna un calo reale di circa 0,5% se si depura l’inflazione. Reggio Emilia raggiunge 32,4 miliardi di euro, +2,7% nominale e –3,0% reale. Il differenziale tra province riflette il diverso posizionamento sui mercati internazionali e la capacità modenese di trasferire sui listini l’aumento dei costi. La crescita dei prezzi pesa di più delle quantità vendute: la variazione mediana del fatturato per impresa è +2,7% a Modena e +3,3% a Reggio, segno di una risposta più accentuata al pricing delle aziende reggiane di minore dimensione. Il MOL complessivo modenese cresce del 15,8% (da 5,8 a 6,7 miliardi di euro), quello reggiano dell’1,9% (3,8 miliardi di euro). Cambia il risultato analizzandone la distribuzione, il valore mediano del MOL, infatti, aumenta del 8,2% a Modena e del 10,7 % a Reggio. La maggior redditività rilevata nel Reggiano si conferma nell’analisi del margine operativo lordo mediano sui ricavi (MOL/ricavi): il 7,8% nel Modenese, contro il 9,0% nel Reggiano, a conferma di processi più snelli in provincia di Reggio. Il totale attivo mediano aumenta dell’1,5% a Modena e del 2,1% a Reggio, a testimonianza di un generale rafforzamento patrimoniale (pur in assenza di dati di patrimonio netto), corroborato dal +3,1% (mediana) di incremento degli addetti a Modena e dal +3,4% nel Reggiano. Gli oneri finanziari mediani più che raddoppiano (+104,6% a Modena; +95,6% a Reggio), mentre il coverage ratio (MOL/oneri) mediano cala a 7,1× nel modenese e rimane elevato a 10,8× nel reggiano. È evidente come l’aumento dei tassi abbia gravato sulle imprese più indebitate; tuttavia, la riduzione del leverage medio (da ca. 5,8× a 4,3× a Modena) e l’incremento dell’attivo netto indicano un forte ricorso all’autofinanziamento per sostenere gli investimenti. L’utile aggregato di Modena scende del 16,8% (da 4,41 a 3,67 miliardi di euro), ma la variazione mediana è più contenuta (–8,8%), con una distribuzione dei risultati piuttosto eterogenea.

A Reggio il dato complessivo registra –30,7%, mentre il mediano segna +2,8 %, a indicare che la maggioranza delle aziende reggiane ha comunque salvaguardato la redditività netta nonostante l’impennata dei costi finanziari. L’analisi delle “Top aziende” evidenzia due modelli vittoriosi: Modena con un profilo di crescita basato su volumi elevati, capacità di trasferimento dei costi sui prezzi e investimenti in settori a elevato valore aggiunto; Reggio Emilia con un modello caratterizzato da processi snelli, margini mediani superiori e forte capacità di coverage degli oneri. In entrambi i distretti la scelta di finanziare gli investimenti con l’autofinanziamento è la risposta al rincaro del debito e pone le basi per sostenere la competitività. Nel biennio 2024-25 il fattore estero, il contenimento del costo dell’energia e l’accesso a finanza sostenibile saranno determinanti per tradurre questo solido posizionamento in nuove opportunità di crescita. Diritto del lavoro Le imprese top di Modena e Reggio Emilia mostrano segnali di vitalità occupazionale. I dati 2023 evidenziano una crescita, benché non distribuita in modo omogeneo tra le singole imprese, del numero di dipendenti nei settori trainanti: automotive, ceramica, alimentare e servizi alla persona. A Modena, l’industria dell’auto e la ceramica continuano a essere motori occupazionali, insieme alla ristorazione e alla lavorazione delle carni, mentre a Reggio spiccano i servizi, soprattutto in ambito cooperativo e la meccanica avanzata. Questi dati, tuttavia, ancorché positivi, non autorizzano conclusioni affrettate. È noto infatti che alla crescita quantitativa dell’occupazione non sempre si accompagna la creazione di posti di lavoro di qualità. Secondo l’Istat, l’incremento dei posti di lavoro registrato a livello nazionale nel 2023 si è accompagnato a un aumento dei contratti a termine, in particolare tra i giovani e nei comparti a bassa qualificazione. Dunque, mentre l’industria tende a offrire impieghi più stabili, più qualificati e meglio retribuiti, i servizi – pur in espansione – sono sovente caratterizzati da bassa produttività, alta rotazione e condizioni contrattuali più fragili. In particolare, i settori dei servizi alla persona, ristorazione, logistica e commercio mostrano una maggiore incidenza di lavoro precario, part-time involontario e bassi salari, mentre l’industria manifatturiera continua a garantire posti di lavoro più stabili e meglio retribuiti, anche grazie alla più elevata sindacalizzazione e alla maggiore diffusione della contrattazione collettiva di secondo livello. Queste differenze si riflettono anche nella produttività del lavoro: secondo Eurostat, il valore aggiunto per occupato nei servizi è mediamente inferiore rispetto all’industria, e la volatilità occupazionale è più alta nei periodi di crisi. Alla luce di queste differenze, è evidente che le prospettive occupazionali, anche nel nostro territorio, sono fortemente settoriali. L’industria, pur affrontando sfide legate alla transizione ecologica e digitale, sembra ancora meglio attrezzata a garantire occupazione di qualità. Serve quindi una politica del lavoro differenziata, che accompagni la crescita quantitativa con strumenti per la qualificazione professionale, la stabilizzazione contrattuale e il rafforzamento della rappresentanza sindacale.
 *direttore Dipartimento di Economia Unimore



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