Microsoft compra 1,4 milioni di crediti di carbonio da Living Planet


Microsoft ha annunciato l’acquisto di 1,4 milioni di crediti di rimozione di carbonio da Living Carbon, una public benefit company americana che ha sviluppato un progetto di riforestazione su 25.000 acri di ex aree minerarie nella regione degli Appalachi, devastate da decenni di estrazione del carbone. L’obiettivo è triplice: assorbire CO₂, rigenerare ecosistemi e valorizzare terreni marginali.

Secondo Maddie Hall, CEO e co-fondatrice di Living Carbon, “ripristinare i terreni minerari degradati offre una delle opportunità più significative e scalabili per l’azione climatica basata sulla natura.”

Microsoft, dal canto suo, conferma una strategia che va ben oltre la compensazione: sta costruendo un portafoglio diversificato di soluzioni per la rimozione permanente della CO₂, includendo anche progetti innovativi e ad alto impatto sociale come questo.

Ma perché un accordo come questo fa notizia?

Il mercato volontario dei crediti di carbonio (VCM – Voluntary Carbon Market) è oggi al centro di un intenso dibattito: tra aspettative elevatissime (si parla di un potenziale da 250 miliardi di dollari) e una realtà ancora frammentata, con dubbi sulla qualità dei progetti, la trasparenza delle metriche e l’addizionalità degli interventi.

In questo contesto, i progetti di carbon removal – come quelli di Living Carbon- sono considerati credibili se accompagnati da certificazioni rigorose come quelle di Isometric, partner dell’iniziativa.

D’altro canto, appare evidente la necessità di ampliare e diversificare le soluzioni disponibili, che coinvolgono le rinnovabili, il biochar e nuove metodologie per cattura e stoccaggio della CO2 con progetti tecnologici e non solo nature based.

Intervista all’esperto: capire oltre i titoli

Per decodificare cosa racconta davvero questo accordo sullo stato attuale e futuro del mercato dei crediti di carbonio – e quali criteri dovremmo usare per valutare progetti come quello di Microsoft e Living Carbon – abbiamo intervistato Andrea Ronchi, profondo conoscitore dei meccanismi e delle dinamiche del Voluntary Carbon Market e fondatore di CO₂ Advisor, società pioniera in Italia di questo mercato.

Andrea Ronchi, si parla tanto di carbon credit, ma per i più è un tema misterioso, con lei ci piacerebbe capirlo meglio. Per esempio, l’impegno annunciato da Microsoft è un buon accordo? Cosa significa? 1.4 milioni di tonnellate di carbonio rimosse sembrano tante, lo sono? E sono davvero rimosse in questo tipo di progetti e con quali tempistiche?

Per valutare se l’accordo tra Microsoft e Living Carbon sia un “buon accordo”, servirebbero maggiori dettagli economici e contrattuali. Se ipotizziamo un valore complessivo tra i 25 e i 50 milioni di dollari, come suggeriscono le stime di mercato per questa tipologia di crediti, allora potrebbe effettivamente trattarsi di un’operazione vantaggiosa per entrambe le parti: per Living Carbon significa poter contare su delle risorse economiche che garantiscono stabilità finanziaria per sviluppare progetti di alta qualità; per Microsoft, bloccare oggi un prezzo per la compensazione delle emissioni residue è lungimirante, considerando che i costi di crediti di CO2 “removal” (rimozione) sono destinati a salire di ordini di grandezza nei prossimi anni.

Detto ciò, 1,4 milioni di tonnellate possono sembrare molte, ma vanno relativizzate. Non conosciamo la distribuzione temporale della consegna dei crediti oggetto dell’accordo: se spalmate su 10 o 20 anni, si tratterebbe di meno di 100.000 tonnellate all’anno. Inoltre, rispetto alla carbon footprint complessiva di Microsoft — che supera i 10 milioni di tonnellate annue tra emissioni dirette e catena del valore — è un’operazione di scala ancora contenuta.

I progetti di riforestazione, però, restano tra i più apprezzati sul mercato perché appartengono alla categoria dei removal: non si limitano a ridurre le emissioni, ma catturano e sequestrano CO₂ dall’atmosfera. Ovviamente, la permanenza è il punto più delicato quando si parla di soluzioni basate sulla natura. Ma i protocolli attuali di monitoraggio, rendicontazione e verifica si sono evoluti e oggi sono abbastanza maturi da offrire un livello di garanzia adeguato anche su questo fronte critico.

Siamo generalmente abituati a sentire parlare di carbon credit derivanti da piantumazione di alberi, questo progetto si concentra su terre degradate da miniere, caratterizzate da suolo povero, erosione, potenziali contaminazioni da metalli tossici e specie invasive: il panorama per la generazione dei carbon credit si sta evolvendo? Quali sono le nuove soluzioni più promettenti?

I progetti di riforestazione sono spesso il primo esempio che viene in mente quando si parla di carbon offset, ma in realtà rappresentano solo una piccola parte del mercato. Secondo i dati più recenti, i crediti generati da progetti di afforestazione e riforestazione costituiscono appena il 3% del totale dei crediti emessi ogni anno nel mondo. Oggi il mercato dei crediti di CO₂ genera circa 372 milioni di crediti l’anno, mentre le emissioni globali non ancora evitate ammontano a circa 55 miliardi di tonnellate di CO₂ ogni anno. Questo significa che per ogni tonnellata emessa, meno dell’1% viene oggi compensata attraverso crediti. Da qui emerge chiaramente la necessità di ampliare e diversificare le soluzioni disponibili. Ci sono moltissime tipologie e metodologie esistenti che coinvolgono le rinnovabili, l’efficienza energetica, il biochar, e in futuro sempre più cattura e stoccaggio della CO2 con progetti tecnologici e non solo nature based.

In questo contesto, progetti di riforestazione come quello di Living Carbon rappresentano comunque un segnale importante di evoluzione del mercato. Si tratta di iniziative che dimostrano come sia oggi economicamente sostenibile riforestare anche in aree meno “produttive”, come le zone temperate o degradate da attività industriali, e non solo nelle foreste tropicali a crescita rapida. È vero che i costi di realizzazione in contesti complessi — come le terre post-minerarie — sono più alti, ma restano significativamente inferiori rispetto a molte soluzioni tecnologiche avanzate di rimozione, come la direct air capture, che saranno comunque necessarie per saturare la futura domanda.

Inoltre, il fatto che questi interventi avvengano su terreni degradati amplifica il valore ambientale e sociale del progetto, generando co-benefici come il miglioramento del suolo, la gestione dell’erosione, la bonifica da contaminanti e il recupero della biodiversità.

Viene affermato che la rimozione di carbonio è “misurabile, significativa e altamente addizionale”. E’ possibile spiegare in modo semplice come si può dimostrare (quindi misurare) l’”addizionalità” del progetto, ovvero che questa rimozione di carbonio non sarebbe avvenuta senza l’intervento di Living Carbon e il supporto di Microsoft?

L’addizionalità è uno dei criteri fondamentali per l’eleggibilità di qualsiasi progetto che voglia generare crediti di carbonio. Per essere riconosciuto come valido, un progetto deve dimostrare che la CO₂ rimossa o evitata non lo sarebbe stata comunque in assenza di quel progetto. Questo implica tre dimensioni: fisica, cioè la rimozione non avverrebbe naturalmente; economica, ovvero il progetto non sarebbe stato realizzato senza un incentivo finanziario esterno; infine, normativa, cioè non esiste un obbligo legale o regolamentare che imponga l’azione intrapresa.

Nel caso di Living Carbon, l’addizionalità si fonda su tutti e tre questi elementi:
Contesto ambientale altamente compromesso, il progetto si sviluppa su terre ex-minerarie, caratterizzate da suoli erosi, poveri, contaminati e spesso invasi da specie non native. La possibilità di una rigenerazione forestale spontanea, e quindi di rimozione naturale della CO₂, è estremamente limitata.
Assenza di obblighi normativi, non esiste alcuna legge, regolamento o vincolo che imponga la riforestazione di queste aree. Il progetto è quindi volontario e non sostitutivo di obblighi preesistenti, e per questo può generare crediti validi.
Addizionalità economica, il progetto è reso possibile dal sostegno finanziario di Microsoft, che ha sottoscritto un accordo di acquisto anticipato (offtake). Senza questa garanzia economica, difficilmente ci sarebbero stati i capitali per realizzare l’intervento.

L’addizionalità viene poi certificata da verificatori indipendenti che analizzano uno scenario controfattuale (“baseline”) per stimare quanta CO₂ sarebbe rimasta in atmosfera in assenza del progetto. I crediti vengono emessi solo per la rimozione netta dimostrabile rispetto a questo scenario.

In sintesi, il progetto è addizionale perché genera rimozioni che non sarebbero avvenute naturalmente, non sono richieste dalla legge e non sarebbero state economicamente fattibili senza un intervento esterno. Ed è proprio questo che ne legittima l’emissione di crediti di carbonio nel mercato volontario.

Il progetto genera una serie di co-benefici (miglioramento della salute del suolo e dell’acqua, l’incremento della biodiversità e nuove opportunità economiche per le comunità locali). Come vengono monitorati o quantificati questi co-benefici in un progetto di crediti di carbonio, hanno influenza sul valore o la percezione della qualità dei crediti dal punto di vista del mercato o degli standard di verifica?

Dal punto di vista strettamente tecnico, i co-benefici ambientali e sociali non dovrebbero influenzare il valore di un credito di carbonio. Una tonnellata di CO₂ rimossa è — per definizione — uguale a un’altra, ovunque e comunque venga sequestrata. È il principio su cui si basa il Protocollo di Kyoto: “a ton is a ton”. Il mercato dovrebbe premiare l’efficienza, non l’estetica del progetto.

Eppure, nella realtà, i co-benefici fanno una differenza enorme. Perché anche se non entrano nel calcolo diretto delle tonnellate, sono spesso ciò che garantisce la sostenibilità vera, cioè la capacità di un progetto di durare nel tempo, di resistere ai rischi, e di generare effettivamente i crediti attesi anno dopo anno.

Un progetto come quello di Living Carbon, che migliora il suolo, l’acqua, la biodiversità e crea opportunità economiche locali, ha molte più probabilità di essere protetto e valorizzato dalle comunità coinvolte, riducendo rischi come incendi, abbandono o conflitti d’uso. Questo non è un dettaglio: se un progetto deve durare 20, 30 o 50 anni per generare i crediti promessi, serve un contesto che lo protegga, non solo metriche scientifiche.

Dal punto di vista del compratore dei crediti — che sia Microsoft o un altra impresa — i co-benefici non sono un “plus”, ma una forma di garanzia. Non è idealismo, è risk management (gestione del rischio). Ecco perché sempre più aziende chiedono report chiari anche su questi aspetti: non tanto perché “valgono” in tonnellate, ma perché valgono in affidabilità.

Quindi sì, formalmente un credito vale uno. Ma in realtà, nel lungo periodo, i progetti con co-benefici forti valgono di più — perché hanno molte più probabilità di mantenere le promesse.

Qualità vs. Quantità: il progetto di Microsoft avrà una verifica scientifica e basata sui dati da parte di Isometric. Quanto sono importanti il rigore e la trasparenza per creare fiducia nel mercato dei crediti di carbonio? Si può dire che la “qualità” della verifica sia oggi più importante della pura “quantità” di crediti?

Sì, la qualità della verifica è assolutamente centrale per la credibilità del mercato dei crediti di carbonio — ma attenzione a non creare una narrativa per cui esistono “standard di serie A” e “standard di serie B”. Quello che conta è che ogni standard rispetti i criteri minimi di eleggibilità, rigore e trasparenza. Ed è esattamente ciò che stabilisce il codice di condotta IETA-ICROA, che oggi rappresenta il riferimento di mercato più condiviso per identificare le metodologie e i program operator affidabili.

Isometric è sicuramente uno standard emergente molto interessante, con un approccio tech-first e una forte enfasi sulla trasparenza — ad esempio con l’emissione mensile dei crediti. Ma va ricordato che è ancora approvato in via condizionata dal codice di condotta IETA-ICROA. È giusto essere ottimisti, ma anche prudenti: servono anni di track record per dimostrare l’affidabilità di un sistema di certificazione.

Detto questo, il vero problema non è che ci siano standard nuovi, ma che se ne stiano moltiplicando troppo velocemente. Non sono un sostenitore di questa proliferazione di organismi certificatori: rischia di generare confusione tra gli acquirenti e di indebolire la fiducia nel mercato. Per questo mi auguro che, a valle della COP di Belém, si arrivi finalmente a una cornice più centralizzata, sotto l’egida delle Nazioni Unite, che metta ordine e chiarezza nei criteri di qualità per il mercato volontario.

In sintesi: sì alla qualità, sì alla trasparenza, ma dentro regole comuni e riconosciute a livello globale. Non serve creare élite, serve creare fiducia.

Andrea Ronchi, fondatore di CO₂ Advisor

Il ruolo delle grandi aziende acquirenti: un big come Microsoft che acquista un volume significativo di crediti, che impatto può avere nel mercato? Le grandi aziende aiutano a guidare l’innovazione e gli standard di qualità, come suggerisce questo accordo, o c’è il rischio che la loro domanda possa in qualche modo alterare le dinamiche del mercato dei carbon credit?

Il ruolo delle grandi aziende acquirenti come Microsoft è oggi assolutamente centrale per lo sviluppo del mercato dei crediti di carbonio. In un momento storico in cui c’è ancora molta confusione e polarizzazione sull’uso delle compensazioni, anche a causa delle posizioni molto “di parte” di alcuni codici di condotta volontari — come nel caso di SBTi e altri quadri di riferimento — le scelte di attori globali che decidono di includere le compensazioni nei loro piani Net Zero rappresentano un segnale forte e positivo.

Microsoft, come altre aziende impegnate seriamente nella decarbonizzazione, sa che le emissioni “non evitabili” ci saranno ancora per molti anni, soprattutto nella fase di transizione. E l’unico modo credibile per gestirle è attraverso crediti di qualità, provenienti da progetti verificabili di rimozione o riduzione. Il fatto che un’azienda di questa scala decida di mettere capitale in gioco in modo strutturato, con accordi di acquisto pluriennali (long-term offtake), è ciò che permette a molti sviluppatori di progettare, finanziare e realizzare nuove soluzioni.

Questi grandi acquirenti, dunque, non solo aiutano a guidare la domanda, ma di fatto contribuiscono a definire gli standard operativi del settore. Generano fiducia in altri ‘compratori’, stimolano la concorrenza sulla qualità e legittimano il ricorso alle compensazioni come parte integrante — e non accessoria — delle strategie climatiche aziendali.

Il rischio non è che le grandi aziende alterino il mercato: il rischio sarebbe che restassero fuori, lasciando il mercato privo di direzione, capitale e credibilità. Al contrario, abbiamo bisogno che siano proprio questi soggetti a guidare l’evoluzione del settore, finanziando progetti ad alta qualità, con contratti chiari, trasparenti e di lungo periodo.

Per concludere, come vedi l’evoluzione del mercato volontario dei crediti di carbonio nei prossimi anni?

Sia con l’occhio dell’analista accademico, sia con quello di imprenditore e fondatore di CO₂ Advisor — società attiva da cinque anni dopo oltre dodici anni da pioniere dell’industry in Italia — vedo un mercato volontario del carbonio destinato a esplodere a brevissimo. Stiamo entrando in una fase critica delle politiche climatiche, in cui realismo e pragmatismo dovranno necessariamente tornare al centro del dibattito, se vogliamo evitare che gli obiettivi dichiarati si trasformino in promesse irrealizzabili, sempre più costose e sempre meno accettabili per la società.

I crediti di carbonio, esattamente come teorizzato già dal Protocollo di Kyoto, restano lo strumento più efficiente per allocare risorse economiche in modo intelligente, là dove il costo marginale di abbattimento della CO₂ è più basso. Significa, molto concretamente, investire ogni dollaro dove permette di ridurre più emissioni. E vista la dimensione della sfida — titanica — e del costo previsto — enorme anche nello scenario più ottimista — non possiamo permetterci di sprecare le poche risorse disponibili in soluzioni inefficienti o ideologiche.

E i numeri parlano da soli: oggi si generano meno di 400 milioni di crediti di CO₂ all’anno (per la precisione, circa 372 milioni nel 2023), a fronte di oltre 50 miliardi di tonnellate di emissioni annuali non ancora evitate o eliminate. È una sproporzione abissale, che ci dice tutto.

Cosa può succedere in un mercato con queste premesse? Spoiler: prezzi in rialzo verticale, corsa alla qualità e boom nello sviluppo di nuovi progetti. Chi si muove ora — con competenze, visione e solidità — sarà nelle condizioni di guidare questa trasformazione e non subirla.





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